Cos'è l'architettura dell'informazione?

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Salvatore Chiarenza
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Corinna Stacchini
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Abbiamo intervistato Salvatore Chiarenza che qui a Lotrèk si occupa di architettura dell'informazione

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La maggior parte delle persone associa l'architettura dell'informazione ai siti web e ai deliverable connessi alla loro progettazione: sitemap, navigazione, ricerca, wireframe. E non c'è da stupirsi: il successo di questa disciplina è dovuto al web e al mare di informazione che ha reso disponibile.

Oggi questa disciplina, a metà tra arte e scienza, prova a dare senso agli ambienti informativi in cui svolgiamo le nostre attività quotidiane. Il che significa superare i confini del web per tenere insieme in maniera coerente il mondo fisico con quello digitale.

Un ornitorinco

Ciao, io sono un ornitorinco. Per un sacco di tempo sono stato un problema di architettura dell’informazione perché nessuno sapeva come classificarmi

 

Per avere una panoramica di cos'è l'architettura dell'informazione oggi e di come la usiamo a Lotrèk, abbiamo intervistato Salvatore Chiarenza, UX writer a Lotrèk che da diverso tempo approfondisce questi temi.

L'intervista è apparsa sul numero 6 di 2 o 3 cose di digital marketing, la nostra newsletter (se ti piace iscriviti qui!)

Salvatore Chiarenza | Content designer e architetto dell'informazione
Ciao Salvo, fai un saluto al pubblico non-pagante

Partiamo dalle basi, che si intende per architettura dell'informazione?

Bella domanda! Il modo più semplice con cui posso descriverla è questo: l'architettura dell'informazione è il modo in cui organizziamo alcuni aspetti del mondo che ci circonda in modo che essi abbiano un senso per le persone che devono farci qualcosa. Per spiegarti cosa intendo ti faccio un esempio molto semplice.

Immagina di entrare in casa di qualcuno e di trovare un wc in mezzo al salotto. C'è il divano, c'è il tavolo, c'è il televisore. E poi c'è un wc. Bianco, di ceramica, con una tavoletta glitterata.

Sarebbe strano, no? Cercheresti di capire perché è stato messo lì e che cos’è il luogo che stai guardando. Saresti indeciso su cosa potresti farci con quello che vedi.

L'orinatoio di Duchamp

Un orinatoio al centro di una stanza. Strano no? Ah no, è un’opera d’arte e sta dentro a un museo

Il problema è che l’ambiente ti dà informazioni contraddittorie che non ti permettono di dargli un senso univoco. Di solito i wc stanno in bagno, non in salotto. I salotti sono lo spazio della casa in cui si parla e si prende il te, non quello in cui si fanno i bisogni.

E quindi l'informazione che ci trasmettono i dati che giungono alla tua percezione è: "chi ha messo un wc in bagno deve essere impazzito, meglio scappare il prima possibile" anziché, come dovrebbe essere "questo è un salotto, la stanza dove posso accomodarmi in attesa che qualcuno mi venga a intrattenere".

Ecco, chi si occupa di architettura dell’informazione lavora per organizzare i dati (quello che si vede e si sente) in modo che sia possibile dar loro un senso… sensato. Proprio come l'architettura degli spazi lo fa per gli ambienti fisici, e mette i wc in bagno e non in salotto, l'architettura dell'informazione lo fa per gli ambienti informativi, cioè per i luoghi fatti di informazioni.

E questo processo è fondamentale, in quanto oggi facciamo online molte delle cose che prima facevamo in luoghi fisici. Ad esempio, ti ricordi dell'ultima volta che hai fatto un bonifico in banca? O l'ultima volta che hai preso un biglietto aereo in agenzia di viaggi?

Ma aspetta, io sapevo che l'architettura dell'informazione serve a organizzare solo i siti web…

Sì certo, fa anche questo. La disciplina è nata per mettere ordine nel caos informativo dei primi anni del web. Oggi però il suo ambito di intervento è molto più ampio e molto più ambizioso.

Se ci pensi, un sito web è solo la punta dell'iceberg di un sistema più complesso. È un singolo touchpoint digitale in un'esperienza che è sempre multicanale. Il web è solo uno dei modi con cui le persone interagiscono con un’azienda o con un brand. Il vero lavoro di architettura dell'informazione tiene in considerazione tutti i touchpoint sia online che offline.

L’architettura dell’informazione fa in modo che io ritrovi gli stessi elementi, chiamati nello stesso modo, organizzati secondo gli stessi criteri sia che io vada sul sito web, sia che io parli con il call center, sia che io interagisca con un chatbot. In questo senso l'architettura dell'informazione diventa pervasiva perché riguarda ogni aspetto dell'interazione tra il brand e le persone ed è quindi una componente fondamentale della brand experience. L'architettura dell'informazione lavora sull'invisibile, su quello che non si vede. Lavora sullo scheletro, non sulla pelle.

Ci fai un esempio?

Un esempio che faccio sempre è quello dell'Agenzia delle Entrate. Non so se hai mai provato a fare una fattura elettronica. Ogni volta che ci provo è come trovare la strada per un labirinto: tra vicoli ciechi, etichette fuorvianti, campi del form comprensibili solo a un commercialista, codici da inserire. Eppure, le fatture sono qualcosa che faccio di continuo.

Perché deve essere così difficile? Perché il sistema per fare le fatture elettroniche riflette il modello mentale di chi quel sistema lo ha creato e non quello di chi, invece, lo deve usare.

E la cosa non riguarda solo il sito, ma tutta la struttura. Se hai mai fatto visita a un ufficio dell’Agenzia delle Entrate forse sai di cosa parlo. Il sistema è certamente complesso, ma il punto è che lo si rende anche complicato. Dal punto di vista dell’architettura dell’informazione, tutto è complesso, perché la realtà è complessa. La sfida è renderla semplice senza perdere la complessità sottostante.

Ed è qui che l'architettura dell'informazione mostra tutto il suo valore. Per semplificare davvero bisogna prima lavorare sul sistema che c'è sotto e capirne la complessità, per poi avvicinarla a quell’altro grande sistema complesso che sono le persone. Solo allora si può iniziare a parlare di semplificazione, e, perché no, di trasformazione digitale.

Ma come si fa allora a progettare un'architettura dell'informazione perfetta?

Il punto è che non esiste un'architettura dell'informazione perfetta. Esistono diversi modi di organizzare i dati che supportano diversi modi di pensare e di fruire l'informazione di diverse persone che devono fare diverse cose. Nel momento in cui abbiamo definito un'architettura dell'informazione abbiamo creato senso per alcune persone e lo abbiamo tolto ad altre. L’importante è che abbia senso per le persone che interessano a noi e agli obiettivi di business delle aziende per cui lavoriamo.

Anzi, se c'è un segreto dell’architettura dell’informazione è questo: fare ricerca con gli utenti, e testare. Se non lo facciamo vuol dire che stiamo progettando qualcosa secondo un criterio che è solo nostro o del nostro team. O, peggio ancora, progettiamo per un utente medio che, di fatto, non esiste. Quando si vuole accontentare tutti, si finisce per non accontentare nessuno.

Ma come utilizziamo l’architettura dell’informazione a Lotrèk?

Nel nostro lavoro quotidiano utilizziamo l’architettura dell’informazione soprattutto nei servizi SEO, cioè dell’ottimizzazione per i motori di ricerca. Questo è un aspetto molto importante dell’architettura dell’informazione. Chi se ne occupa pensa a tutto l’ecosistema. Non considera solo gli agenti umani ma anche le macchine e gli algoritmi. Fa in modo che le informazioni siano facili da trovare e usare per entrambi. E, spesso, le due cose coincidono. Da questo punto di vista è molto importante anche il lavoro che facciamo sui metadati: questi ci permettono di creare contenuti e sistemi che funzionano su tante interfacce, come ad esempio le interfacce vocali e i chatbot.

Grande, mi hai aperto un mondo! Come posso approfondire?

Online trovi tantissime risorse. Ti consiglio di partire dal sito di Architecta, la Società Italiana di Architettura dell'Informazione di cui sono socio e ambassador. L’associazione organizza, ogni anno, il Summit Italiano di Architettura dell’Informazione, che è un’ottimo punto di partenza per entrare nel vivo dei temi più attuali. Poi, se proprio vuoi approfondire, la bibbia è il "Polar Bear Book" di Peter Morville, Luis Rosenfeld e Jorge Arango. Se ti interessano gli aspetti cross-canale, puoi leggere Pervasive Information Architecture di Andrea Resmini e Luca Rosati. Se invece vuoi qualcosa di molto pratico, Sense Making di Luca Rosati è un ottimo libro per mettere subito in pratica gli aspetti fondamentali di questa disciplina.

Sappiamo che hai tante domande sull’architettura dell’informazione. Segui o scrivi a Salvatore su LinkedIn per avere le risposte!

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Salvatore Chiarenza

UX Copywriter

Chiamatemi Salvatore. Qualche anno fa - non importa che io vi dica quanti - avendo pochi soldi in tasca e niente che particolarmente m'interessasse a terra, pensai di mettermi a navigare per un po', e di vedere così la parte acquea del mondo.