Piccolo dettaglio: il like era stato messo dal profilo Instagram di Papa Francesco, il capo della Chiesa Cattolica.
Uno scivolone (o meglio, 2 , considerando che a fine Dicembre si è aggiunto un altro “mi piace” dello scandalo) che però è l’unica macchia, piccola tutto sommato, in una presenza digitale altrimenti impeccabile.
Con 7,6 milioni di follower, Francesco, anzi, @franciscus, è il leader religioso con più follower su Instagram, capo di una comunità di credenti che conta 1 miliardo e duecento milioni di persone nel mondo. Il papa è presente anche su Twitter dove però usa diversi account, per altrettante lingue, e dove l’account ufficiale @pontifex ha quasi 19 milioni di follower.
Con la sua simpatia e il suo fare affabile, Jorge Maria Bergoglio sembra fatto apposta per portare il messaggio evangelico sui social, in un’epoca in cui le religioni rivelate perdono fedeli anziché guadagnarli, soprattutto in Occidente.
Un papato digitale
Inutile dire che dietro le uscite del papa c’è una strategia digitale accorta, fatta di persone che di media e comunicazione ne capiscono, e anche tanto.
Del resto pensate a questo: la Chiesa Cattolica è una delle istituzioni più longeve al mondo. Esiste da più di 2000 anni. Quando si tratta di fare marketing del prodotto, in questo caso la salvezza eterna, può fare scuola. Forte di una mission semplice e diretta - diffondere il messaggio del Vangelo a quante più persone possibile - la Chiesa ha sperimentato nel corso dei secoli tutti i modi possibili per perseguirla, dimostrando grandissima capacità di reagire a cambiamenti epocali nel panorama dei media, dall’invenzione della stampa alla diffusione dei mass media.
E, quando si è presentata la sfida del digitale, non si è tirata indietro. Già nel 2013 Benedetto XVI aveva aperto la strada ai social con un discorso dal titolo Reti Sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione.
Il titolo già dice tutto: i social network sono spazi, luoghi dove le persone passano ogni giorno tantissimo tempo. Fanno parte della loro vita, non sono qualcosa di separato. Sono luoghi in cui le persone si divertono, stringono legami, comunicano, creano comunità. Questi luoghi devono essere presidiati dalla Chiesa sia per permettere ai credenti che li frequentano di avere una comunità di riferimento, sia per diffondere meglio il messaggio agli indecisi e a quelli che non credono.
L’elezione di papa Francesco ha rappresentato un passo in avanti, con una maggiore consapevolezza dell'importanza delle comunicazioni digitali.
Uno dei primi atti del nuovo pontefice fu di creare il Dicastero per le Comunicazioni Vaticane, con il compito di riorganizzare tutto il sistema delle comunicazioni Vaticane. Nella lettera apostolica "L'attuale contesto comunicativo" con cui fu fondata l'istituzione sono indicate esplicitamente le motivazioni: rispondere all’attuale sfida comunicativa rappresentata dai social media e, tra le altre cose, gestire il profilo Twitter @pontifex.
Dietro atti di questo tipo c’è una grande consapevolezza del nuovo contesto comunicativo, incarnata da persone come Paul Tighe, attuale Segretario del Pontificio Consiglio della Cultura e, in passato, consigliere del papa per gli affari relativi alle comunicazioni digitali.
Nel 2017 invitato al festival "South by Southwest", Tighe espone il pensiero che sta dietro alla strategia digitale del Vaticano:
“In quanto leader della Chiesa, ci confrontavamo con la vecchia generazione che vedeva il digitale e la “vita reale” come due mondi separati, dove il digitale era qualcosa per i bambini. Ma i due sono realtà esistenziali che si alimentano a vicenda. C’è un’area di sovrapposizione tra di esse, e l’idea che il digitale forma l’ambiente in cui vivono molte persone, specialmente i giovani”.
Aspetto a gloria il giorno in cui sentirò esprimere questi stessi concetti da parte di qualche direttore marketing di un’azienda media italiana.
Tutti i modi per cercare la volontà divina
Ma non è solo una questione di comunicazione o di adattarsi ai tempi che cambiano. Il fatto è che il papa doveva essere sui social o su Instagram. Come per le aziende, anche per le religioni la questione non è più se aprire un profilo oppure no, ma come gestire la presenza sul territorio digitale. La conquista delle anime si gioca anche su questo.
Il processo di secolarizzazione si manifesta anche nel fatto che esistono tante altre religioni con credenze, simboli e pratiche diverse con cui la religione principale si trova in concorrenza, un vero e proprio mercato religioso. La scelta di una fede o di un'altra non è ovviamente sul piano razionale, ma si svolge come una competizione per acquisire follower. In questa competizione sono determinanti la capacità di creare un immaginario condiviso, di offrire una costante presenza pubblica, e di esprimersi con una retorica convincente. Volente o nolente, la Chiesa si trova in questa competizione in cui alla fine a essere in gioco sono le anime delle persone. E i social network sono un campo di battaglia privilegiato, in quanto fanno parte della vita quotidiana di milioni di esse. Diventa quindi fondamentale presidiare il territorio digitale, affermare il proprio posizionamento e ribadire il proprio messaggio di brand.
La presenza del papa su Instagram, un medium prevalentemente visuale, sollecita la sfera estetica dei credenti, crea una comunità, e in questo modo rafforza la figura del Papa come leader carismatico e capo della Chiesa Cattolica. Chi è credente trova un punto di riferimento ufficiale, chi è in bilico è esposto al messaggio della Chiesa, chi non è credente può criticarlo, e in questo modo contribuire a diffondere il messaggio, o, in ogni caso, a definirlo, a consolidarlo.
A dire il vero la Chiesa è maestra in questo genere di operazioni. All’epoca della Controriforma a portare alto il vessillo della Chiesa erano le grandi pale d’altare con santi e madonne in posizioni ardite, chiaroscuri, e tutti gli effetti speciali resi possibili dalla pittura. Allora, in un mondo totalmente diverso, la lotta era per tenere le anime nel seno di Madre Chiesa e impedir loro di passare con la Riforma Protestante, che è come dire con l’eresia.
E guarda caso, anche allora, a difendere la Chiesa dai suoi nemici erano i Gesuiti, un ordine il cui motto è “Ad maiorem dei gloriam”, per una maggiore gloria di Dio. A partire dalla seconda metà del Cinquecento i Gesuiti sono stati in prima linea nel diffondere il messaggio evangelico e nel difenderlo dall’eresia in ogni modo, anzi, “todo modo” come dice lo spagnolo Ignazio di Loyola, santo e fondatore dell’ordine. E con Bergoglio, i gesuiti al papato ci sono arrivati, a dispetto di quanto suggerisce il nome del pontefice Francesco.
Se per seguire la volontà divina bisogna andare sui social e confrontarsi con questo mondo, beh, è il momento di farlo. E nei palazzi del Vaticano le persone in grado non mancano di certo. Scivoloni a parte, ovvio.