La comunicazione è ciclica?
Stiamo vivendo l’eterno ritorno dell’uguale comunicativo? Serve uno übermensch per affrontare gli sviluppi delle modalità comunicative?
(Disclaimer per i lettori filosoficamente sensibili: in questo articolo mi ostinerò a citare Nietzsche quindi se i filosofi tedeschi con i baffi grandi ti impressionano non continuare a leggere).
Cerco di spiegarmi: siamo partiti dal cartaceo - in realtà dalla tradizione orale, ma se partiamo da lì non arriviamo più alla fine - poi siamo passati alla radio, poi il video si è affermato grazie alla tv, poi i primi social ci hanno imposto un ritorno alla scrittura, in seguito gli stessi social si sono sbilanciati verso il formato video (il successo di TikTok è solo uno dei tanti esempi) e in seguito il grande ritorno del formato audio.
Stiamo girando in tondo?
In realtà è una domanda retorica: secondo me, non è al ritorno dell’uguale che stiamo assistendo. Se pensi al caro vecchio giornale, sai esattamente di che formato comunicativo stiamo parlando, ma le distinzioni tra una modalità espressiva e l’altra sono ancora così nette?
Ci sono solo le mezze stagioni
“Voi avete percorso la via dal verme all’uomo, ma molto c’è ancora in voi del verme”. Diceva Zarathustra.
Parafrasando, possiamo dire che il copywriting ha percorso la via che va dal cartaceo all’annuncio tra una canzone di Spotify e l’altra, ma molto c’è ancora in lui di tutto ciò che ha incontrato durante la sua evoluzione.
Come è possibile, infatti, distinguere ancora con sicurezza i formati comunicativi quando un’immagine statica può trasformarsi in un video in meno di un clic, un annuncio audio può rivelare sequenze ipnotiche se solo si rivolge lo sguardo allo schermo e un video può finire per essere ascoltato e non visto?
I formati comunicativi attualmente sono necessariamente fluidi. Questa fluidità si ripercuote direttamente sul lavoro del copywriter, che deve essere in grado di non subirla ma di padroneggiarla. In parole povere, questo rende necessaria una progettualità precisa e solida, capace di sfruttare tutte le potenzialità specifiche di ogni singolo formato.
Stando così le cose, è possibile “riciclare” un unico copy su tutti i formati?
Non uno per tutti, ma tutti per uno
Semplificando in modo brutale possiamo dire che tutti i creativi hanno un macro-obiettivo comune: l’efficacia comunicativa.
Per raggiungere la meta in questo spazio fluido dobbiamo realizzare un concept unico che si adatti a tutte le declinazioni coinvolte, ma non un copy unico per ogni formato, altrimenti si rischia di rovinare tutto.
Ok, magari ci sono stati casi nella storia del copywriting in cui un unico copy perfetto riusciva a essere efficace in qualunque contesto, formato o declinazione. Ma se anche ci sono stati quelli erano l’eccezione, non la regola.
Perché? Perché il copywriting per il video, sia inteso come script che come scritte sovrapposte alle sequenze che come voice-over, deve avere caratteristiche specifiche irrinunciabili.
Ritmo
Pensare che questa specifica riguardi solo lo script o il voice-over è un grande sbaglio. Anche i testi a video devono avere ritmo per non fare l’effetto di uno scarabocchio sopra la gioconda. Immagini e parole devono essere in perfetto accordo: se non lo sono, il risultato è compromesso.
L’assenza di ritmo nella narrazione a video, infatti, semplicemente la rende inascoltabile e/o illeggibile, fa sì che il fruitore non riesca a seguirla. E se questo accade non solo il copy è inutile, ma rovina anche le sequenze video, per quanto belle possano essere.
Tempi di lettura
In questo caso, parliamo specificamente di testo a video e la questione è strettamente legata a quella del ritmo. L’inserimento di scritte sopra la sequenza può avere obiettivi e funzionalità diverse, ma, anche se viene utilizzato a scopo esplicativo, servirsi di parole molto lunghe, numerosi avverbi e periodi complessi è un grande rischio: l’utente deve avere il tempo di vedere la scena, leggere il testo e capirlo.
Se non è l’intro di Star Wars che stai scrivendo, meglio fare attenzione.
Semplicità
Dobbiamo lasciar parlare le immagini, non sovrapporci alla loro narrazione. Uno script può sfruttare parole ed espressioni più complesse, potendo contare sulla mimica e l’espressività degli attori che le riferiscono. Il voice-over e il testo a video devono votarsi alla semplicità, intesa non come un eufemismo per “banalità” ma come chiarezza espressiva.
Memorabilità
Questa specifica è forse troppo ampia: qualsiasi copy viene scritto nella speranza di essere ricordato, di rimanere impresso. Quando si parla di voice-over o di script, però, la memorabilità diventa forse ancora più importante. La scelta di ogni termine deve essere fatta anche in virtù di come risuonerà nella testa di chi lo ascolta, nella speranza di risultare così calzante da trasformarsi quasi in un modo di dire.
Convivenza pacifica
Abbiamo introdotto la distinzione tra testo a video, script e voice-over e sarà importante capire quale di questi preferire a seconda degli obiettivi, dei supporti e di tutte le specifiche del progetto a cui si sta lavorando.
Non dimentichiamoci però che questi tre copy per video possono anche trovarsi a convivere tutti insieme in un unico formato. Sarà quindi fondamentale che non si accavallino ma si diano forza a vicenda, agendo in accordo come espressioni di un unico concept.
A che serve il copywriting per i video?
Se le finalità dello script sono piuttosto intuibili (e, di nuovo, questo non vuol dire banali), quelle del voice-over e del testo a video possono risultare meno lampanti.
Il punto è: perché servono quelle parole? Perché non bastano le immagini? (N.d.r. a volte bastano, non siamo obbligati per legge a piazzare copy ovunque).
In ogni caso, possiamo sfruttare le parole per tanti scopi diversi, quello descrittivo è solo l’esempio più classico.
Semplificare concetti complessi
Per Arysol, decongestionante nasale, l’unione di sequenze animate e voice-over è servita per rendere chiare e intuitive caratteristiche difficili da raccontare: si trattava infatti di dinamiche relative alla cura dei condotti nasali.
Modulare l’emotività
Nietzsche (esatto, di nuovo lui) diceva che l’aggiunta delle parole alla musica serviva per rendere fruibile un’esperienza che altrimente sarebbe stata estatica e caotica. In un certo senso, questo può valere anche per le scritte a video: la narrazione non deve essere per forza esplicativa, può condurre l’emotività dell’utente nel percorso desiderato e indirizzare le sue reazioni.
Rassegnarsi allo scroll veloce
La motivazione più triste ma più vera di tutte per inserire testo a video? Se la destinazione sono i social, dobbiamo rassegnarci al fatto che, per quanto poetica sia la nostra creazione, una buona fetta di utenti la visualizzerà senza audio.
E noi il messaggio lo dobbiamo fare arrivare lo stesso: niente ci distoglierà dall’obiettivo.