L’irresistibile ascesa del formato audio
Diciamocelo pure: da quando c’è la pandemia non ne possiamo più di stare davanti allo schermo. Tutte le attività che prima erano sociali ora passano attraverso un rettangolo luminoso. Le giornate sono diventate un susseguirsi di chat, e-mail e video call.
Con tutto questo guardare e guardare gli occhi si affaticano, le telecamere si spengono: la mente ha bisogno di nuovi formati. Deve essere per questo che da qualche tempo vedo proliferare audio chat e messaggi vocali in tutte le salse. E non credo che sia solo una mia impressione. Contestualmente al diffondersi della pandemia, c’è stato anche un boom dei formati audio per la diffusione di contenuti.
Non che prima l’audio fosse relegato in secondo piano, anzi. I podcast e gli audiolibri erano diffusi e in crescita da diverso tempo. La pandemia però ha forse però accentuato questa crescita e l’ha resa più pervasiva.
Se guardi il grafico dell’andamento del termine di ricerca “podcast” (Google Trends) degli ultimi 5 anni, puoi notare che è in crescita in corrispondenza delle chiusure (fine marzo e fine e ottobre) e in calo in occasione delle riaperture (estate, la porzione di curva in discesa tra le due barre).
Anche il trend del termine di ricerca “audio” suggerisce un pattern simile:
Anche i grafici sembrano suggerire che le persone ne abbiamo abbastanza di stare davanti a uno schermo e abbiamo voglia di ascoltare. Ma forse il tempo che passiamo in call non l'unica spiegazione di questo crescere del formato audio.
Forse, le motivazioni sono più profonde.
La pandemia ci ha messo di fronte a condizioni di isolamento che forse non avevamo mai sperimentato prima. Al contempo, gli strumenti digitali ci tenevano in connessione come forse mai eravamo stati connessi prima. Così connessi eppure così soli: da soli insieme (cit.).
Fra tutti i mezzi possibili di fruizione dei contenuti, forse l’audio è quello più connotato emozionalmente. La voce riesce a trasmettere tutte le sfumature emozionali della persona, forse più del video. Detto in poche parole, la voce fa compagnia, la puoi mettere in sottofondo e ascoltarla anche mentre fai altre cose, non sei costretto a stare immobile a guardare uno schermo.
L’affermarsi delle piattaforme audio
Se ci mettiamo di mezzo anche la diffusione degli assistenti vocali per cui molte case si sono riempite di altoparlanti intelligenti, il quadro è completo.
Le grandi aziende hanno colto il trend di crescita. Clubhouse ha stimolato per qualche giorno un bel po’ di chiacchiericcio online. Per chi non avesse idea di cosa si sta parlando, Clubhouse è un social che si basa sulle conversazioni vocali anziché su quelle scritte. Qualcuno organizza delle stanze tematiche, le persone ci entrano, e parte il talk show. Una bella novità rispetto al panorama dei social a cui siamo abituati.
Si tratta di un fenomeno passeggero? Funziona? Ai posteri l’ardua sentenza (cit.). La cosa interessante è che da allora l’argomento piattaforme audio ha inondato le bacheche social. Non si fa altro che parlare di chat audio, messaggi audio, piattaforme audio in tutte le salse.
L’ultima in ordine di arrivo ma forse la più notevole è Facebook, che ha inserito nuove funzionalità nel suo ecosistema tra cui le live audio rooms, che funzionano in modo simile alle stanze di Facebook. La cosa interessante è che non si tratta solo nel creare nuove funzionalità, ma in una vera e propria strategia basata sull’audio e interessata a sfruttare content creator e influencer vari che ormai l’internet sforna a palate.
Se un gigante come Facebook inizia a muoversi, probabilmente è segno che c’è un un cambiamento profondo in atto e soprattutto l’opportunità di fare soldi, tanti soldi.
Marketing per piattaforme audio
L’affermarsi dell’audio ha un bell’impatto anche per chi si occupa di marketing e advertising digitale (e non). Dal medium visuale a quello uditivo il passaggio è notevole. Vengono meno i gesti, le espressioni, il testo in sovraimpressione che avrebbero supportato il parlato.
Il vantaggio per le aziende è probabilmente quello che ha caratterizzato i tempi d’oro della pubblicità: i messaggi non si possono saltare (almeno per ora). Se mentre ascolto un podcast ho un’interruzione di 30 secondi, magari in tema con il podcast, non ho modo di saltarla, ma la sorbisco e basta.
Bisogna far passare il messaggio nel pochissimo tempo disponibile cercando di non farci odiare dall’ascoltatore. Ricordate che state interrompendo qualcuno mentre sta facendosi i fatti propri. Se volete che l’ascoltatore continui ad associare emozioni positive al brand per cui state creando il messaggio pubblicitario, vi consiglio di curare i messaggi audio.
Ma non siete soli, anzi. Potete contare su una storia ormai secolare, quella della radio. A ben vedere il passaggio all’audio ci riporta per certi versi al mondo eroico delle trasmissioni radiofoniche. Se volete un prontuario d’eccezione su come scrivere efficacemente per l’audio, vi consigliamo di procurarvi le Norme per la redazione di un testo radiofonico di Carlo Emilio Gadda: lì c’è tutto.
Esploriamo insieme il mondo dell’audio?
E poi ci siamo noi di Lotrèk per aiutarvi. L’inserimento di messaggi pubblicitari in podcast, chat audio e altro è un mondo ancora poco esplorato. Spotify è sicuramente una delle piattaforme più all’avanguardia in tal senso. Ma anche Voxnest (il sito web che vedete adesso lo abbiamo disegnato noi!) è già da tempo un’azienda che ha tra i suoi obiettivi quella di aiutare i content creator a monetizzare con i podcast.
Si tratta di un bel vantaggio se consideriamo che la diffusione degli AD blocker, la cecità da banner e una cultura digitale sempre più diffusa abbiano ridotto l’efficacia delle campagne di tipo display. E se volete esplorare il mondo della campagna di marketing per piattaforme audio, siamo qui per parlarne.